Buona domenica a tutti!
Cosa farete di bello, oggi?
Se avete in mente di rilassarvi con un bel libro e volare verso mete lontane sul dorso di meravigliosi draghi (facendo anche un salto avanti nel tempo), l'evento speciale di oggi è fatto apposta per voi: esce infatti "Eleinda - La Formula dell'Immortalità" di Valentina Bellettini, e questo è il Release & Review Party!
Si tratta del secondo volume di una travolgente serie Urban Fantasy / Paranormal Romance / Sci-fi, con protagonista il legame profondo di una ragazza con un drago, un legame totalizzante e in continua evoluzione sia nella mente sia nel corpo... ma in questo volume non sarà la sola ad allacciare questo tipo di relazione, e chi legge la serie lo sa: un drago sconvolge completamente l'esistenza degli esseri umani. 🐲 Preparatevi a saltare dal divano per le continue sorprese!
Vi consiglio di leggere il post fino alla fine perché troverete ad attendervi il primo capitolo di Eleinda 2. Ma prima diamo una sbirciatina ai dettagli del romanzo!
Titolo: Eleinda - La Formula dell'Immortalità (Eleinda #2)
Autrice: Valentina Bellettini
Editore: Self-Publishing
Genere: Urban Fantasy / Paranormal Romance / Sci-fi
Data di uscita: 3 Marzo 2019
Pagine: 318
ISBN: 9781974153138
Formato: cartaceo ed ebook
Prezzo: € 13,30 cartaceo / € 2,99 ebook
Link per l'acquisto: amazon
“In un mondo così grande, nemmeno i draghi volevano stare soli"
Sinossi:
Alessandro ed Eleonora vivono insieme, ma la loro affinità e complicità sembra confinarli in un’eterna amicizia.
Dalla sua cella, lo scienziato dottor Brandi impartisce direttive. Il suo desiderio di possedere il drago Indaco è un’ossessione che lo porta ad attuare un piano bizzarro.
Un evento che sconvolge tutti gli equilibri.
Mentre la ragazza turbata si occupa di Indaco, l’arrivo di un nuovo drago scuote gli animi: conosciuta come “la rossa”, ha un temperamento selvaggio e una forza fisica che, unita all’astuzia, la rende indomabile. Ma ha bisogno di Alessandro per affrontare un nemico comune: la risorta E.T.
Alessandro e la sua nuova compagna dragonessa sono gli unici su cui il Nuovo Regno dei Draghi può contare.
Ci sono ancora altri esemplari da scovare e la caccia è appena cominciata, ma a Milano si annuncia la guerra.
Una cella apre le sue porte, liberando anche il torbido passato del dottor Brandi: i suoi tormenti non risparmieranno nessuno.
Ha giocato con la vita.
Ora, è il turno della morte.
"Avventura, magia, creature particolari che potrebbero cambiare per sempre il destino del mondo… Un drago potrebbe cambiare la vita di un umano. Per sempre."
Rivista Fralerighe
"Leggendo Eleinda 2 ci troviamo davanti ad un crescendo di eventi, emozioni e colpi di scena pazzeschi, di quelli che ho la bocca spalancata e gli occhi sbarrati!"
Pagine a Merenda
"I pericoli, i colpi di scena e gli scontri sono un ritmo serrato in una trama fortemente adrenalinica, ma non mancano le occasioni per soffermarsi sui sentimenti.
La formula dell'immortalità si conferma un bel mix di fantasia e fantascienza; un romanzo di formazione incentrato sulla scoperta del primo amore."
Il Flauto di Pan
L'autrice:
Valentina Bellettini è in eterno bilico tra sogno a occhi aperti e razionalità, caratteristica che si ripercuote in tutte le sue opere.
Dopo otto anni di pubblicazioni con case editrici ha deciso di passare al self-publishing per esprimersi senza limiti e per avere un contatto diretto con i lettori.
Ama la vita, per lei mai noiosa e ordinaria, e lavora nei mercati in piazza dove cattura temi politici e sociali. Attenta ascoltatrice, spesso intreccia legami empatici con i suoi animali.
E’ sposata, mamma, e frenetica come i suoi personaggi trova anche tempo di gestire il blog Universi Incantati.
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Ma che festa sarebbe senza... un buono regalo?
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Leggi il primo capitolo!
Lasciò libero il fiato e tornò a respirare.
Ci era mancato poco.
Nell’oscurità della sua stanza, aveva percepito i passi di Salvo sostare a lungo dietro la porta, dopodiché li aveva sentiti riprendere la direzione delle scale.
Ora poteva tornare alla sua ardua missione e, considerati i rischi e le possibili conseguenze, era piuttosto pericolosa.
Rimase un attimo immobile, le orecchie tese all’ascolto: il silenzio era denso come velluto, e l’unica stonatura era il ronzio di una zanzara, ultima superstite di una calda estate. Erano passate settimane dal suo rientro a Villapace, e si era ripresa dallo stress e dagli impegni lavorativi dell’associazione “World is our Heaven. Don’t turn it to Hell.” L’indomani la aspettava una conferenza sulle auto a energia solare, il traguardo più importante che avesse raggiunto, un passo enorme verso il futuro, eppure, lì a Villapace, erano le cose più semplici a fare da padroni.
Interruppe il flusso dei pensieri: non era il momento di distrarsi.
Spostò nuovamente le coperte con delicatezza, lasciò scivolare le gambe nude sulla sponda del letto, e a piedi scalzi, con passi dotati di buona memoria, stavolta raggiunse l’uscita senza inciampare. Aprì leggermente la porta per esaminare il corridoio: regnava la stessa atmosfera della sua stanza; silenzio e oscurità. Perfetto.
Camminò tastando le pareti finché non distinse un materiale diverso, quello del legno, dunque accarezzò la superficie alla ricerca della fredda maniglia in allumino; prestò attenzione nell’aprire la porta il più silenziosamente possibile, e come guadagnò uno spazio appena necessario a far passare la sua figura, s’intrufolò oltre. Sentendosi ormai al sicuro, proseguì il cammino verso la meta, ma, d’improvviso, il suo piede destro schiacciò un oggetto molliccio come gomma, da dove uscì un suono acuto: “Squiiiuuu”. Sentì i versi gutturali di una risata trattenuta a stento, ed Eleonora soffocò malamente anche la sua, portandosi una mano alla bocca.
«Ma che accidenti è?», bisbigliò divertita.
«Solo un piccolo scherzo.»
«Ale, sei fuori! Ho fatto tanto per non farmi sentire e mi lasci delle trappole in giro?»
«Shh! Dai, Ele, vieni qua.»
Eleonora allungò le braccia fino al letto; le coperte erano già pronte ad accoglierla, così come quel bacio. Strano, pensò. Per un attimo, le sembrò come se fosse la prima volta che sfiorava quelle labbra, eppure si muovevano esperte, e ad affiancare quel solito desiderio c'era un'insolita frenesia, un'urgenza passionale che appartiene solo a chi conosce bene il corpo dell'altro. Schiacciò il petto contro il suo torace nudo, mentre Alessandro allungava le mani fino ai fianchi e la invitava a salire cavalcioni su di lui. Eleonora si gettò nuovamente sulle sue labbra mentre lui le accarezzava la pelle sotto la camicia da notte, sollevandola delicatamente fino a scoprirle le cosce, il ventre, e infine la pancia. Poteva sentire il suo desiderio crescere, trattenuto a stento nei boxer. D’un tratto, Alessandro la ribaltò contro il materasso e le sussurrò nell’orecchio: “Ora sei mia”. Prese a baciarla, e dall’orecchio scese sulla spalla, sul capezzolo ancora coperto, dopodiché quel bacio curvò verso l’interno, dentro l’ombelico, e scostando ogni tessuto arrivò fin laggiù.
Una vocina nella sua testa le diceva che era sbagliato, un’altra pensava di approfittarne mentre il corpo era avvolto da una sensazione d’estasi totale, un piacere sempre più intenso, alto, vivo. Così reale.
La porta si spalancò all’improvviso.
«Non in casa mia!»
∞
Eleonora aprì di colpo gli occhi e sobbalzò dal letto con la voce di Salvo che le rimbombava ancora nelle orecchie. Era stato solo un sogno, e gradualmente le orecchie smisero di pulsare. Diversamente da loro, l’altro organo coinvolto faticava a tornare alla normalità.
Lo desiderava.
Continuava a desiderare Alessandro dentro di sé.
Provò vergogna. Come poteva un sogno averla sconvolta così profondamente? Non le era mai successo di provare una sensazione così viva del piacere, per lo più durante un sogno.
Io... con Alessandro.
Si lasciò andare contro il materasso e si coprì con quella trapunta leggera fin sopra al naso. Il calore che provava sulle guance significava che stava arrossendo, e in effetti si sentiva ancora accaldata.
Sentì bussare. E bisbigliare.
«Ele... Ele...»
«S... sì, Salvo?»
«Non è oggi che avevi quella conferenza sulle automobili a energia solare? È la seconda volta che ti chiamo e Ale ti sta di nuovo scaldando il latte, ma se vuoi riposare e ci siamo sbagliati sul giorno...»
«No-no, hai ragione!» Il suo tono di voce si era alzato, fino a diventare stridulo. Lo schiarì. «Arrivo subito, grazie.»
Posò i piedi a terra, infilò le ciabatte e andò ad aprire le persiane. Fece un ampio respiro: l’aria frizzantina seppe calmare ogni fibra del suo essere, ma dovette sforzarsi di pensare al discorso della conferenza per ingannare la sua mente da quello che in realtà stava ricordando.
Si girò verso l’armadio, aprì le ante, fissò i suoi vestiti ben ordinati divisi in abiti, maglie, jeans, gonne... aveva una vasta scelta, per non parlare della varietà di colori disponibili.
Che indecisione. Non c’era pace per i suoi tormenti.
∞
In cucina, Salvo scaricava i piatti dalla nuova lavastoviglie — comprata su insistenza del nipote — mentre Alessandro era ancora a tavola.
«Pensavo avevi finito», così non avrei dovuto affrontarti, pensò, guardando la nuca del ragazzo; appena si girò verso di lei, incontrando i suoi occhi, Eleonora provò un brivido così profondo che si sedette pesantemente sulla sedia.
«Ahi. Che ti dicevo, nonno? Dovremmo mettere dei cuscini; queste sedie sono troppo dure. Se poi ci aggiungi Ele-grazia-di-un-elefante...»
La ragazza immerse un biscotto nel latte e cercò di controllare il tremolio nella mano.
«...Com’è che non sento una delle tue risposte a tono?»
Continuò a inzuppare il biscotto.
«Ma cos’ha fatto? Si è svegliata male?»
Salvo fece spallucce, mentre la ragazza continuò a tacere e a rendere quel biscotto sempre più molle.
Fissarlo, doveva fissare quel latte e non lui.
«Ele, tutto bene?»
Sussultò e il biscotto si ruppe a metà, affogando nel latte.
«Ma sei scemo? Ti avvicini così di soppiatto e mi urli nelle orecchie?»
«Sei tu che urli! Io ti ho bisbigliato dolcemente...»
Dolcemente.
Eleonora si riscosse dopo aver avuto una pausa; gli occhi incantati sulle sue morbide labbra.
«Sei rossa... tremi... non è che hai la febbre?»
Alessandro posò il palmo della mano sulla sua fronte, ma lei lo scansò bruscamente, alzandosi dalla sedia e spingendo il ragazzo lontano; tuttavia sentiva che quelle mani, anziché respingerlo, avrebbero voluto afferrare il suo busto e attirarlo con altrettanta foga su di sé.
Come sempre.
«Lasciami stare!»
«Ma cos’ho fatto?»
«Niente... ecco, sì, niente!»
«Ti sei svegliata proprio male, oggi, eh?»
Eleonora, che nel frattempo aveva aggirato il tavolo e ripreso il latte per berlo tutto d’un sorso, quasi si strozzò.
«Senti. Stamattina non ho per niente voglia dei tuoi soliti giochini. Sono agitata per la conferenza.»
«Okay, bastava dirlo.»
«Basterebbe essere un po’ comprensivi. Non ti devo sempre spiegare tutto. Ciao Salvo, io vado!»
«Sì! In bocca al lupo, Eleonora!», gridò l’anziano mentre la ragazza era già fuggita verso la porta.
«Ehi...» si sentì afferrare per un braccio. «E a me? Non mi saluti?»
«Che cosa dovrei fare, darti un bacio d’addio? Guarda che torno.»
«Non voglio che te ne vada così, col muso, che sembra che abbiamo litigato.» Di colpo, si mise a ridere.
«E ora che c’è?»
«No è che... certo, il tuo è un bel “musino”. Però non è molto presentabile, sai...» così dicendo, le prese il mento fra il pollice e l’indice, e con quest’ultimo le accarezzò la pelle tra il labbro superiore e il naso. Inevitabilmente, il dito le sfiorò anche le labbra. «Ecco, così va meglio.»
Il suo tono si era fatto serio: «Avevi... avevi ancora del latte.»
«Ah.»
«Già.»
Rimasero lì in silenzio, come tantissime altre volte era successo da quando era tornata a Villapace. Esattamente la stessa scena: i loro occhi si sfuggivano, non si soffermavano mai; quando uno fissava l’altro, l’altro si spostava altrove.
«Allora... io vado. Ciao.»
«Aspetta, ti accompagno». La prese per mano. Quella forma di contatto era sempre stata l’unica concessa.
«No», disse la ragazza. «Grazie», aggiunse, addolcendo il tono. «Vado da sola; so badare a me stessa.» Gli fece l’occhiolino, cercando di sembrare tranquilla e sicura, come se non ci fosse nulla che non andasse.
Aveva appena cominciato ad allontanarsi.
«Lo so che ti manca!»
Eleonora bloccò il passo. Persino Alessandro lo aveva capito. Ecco cos’era.
Ecco cosa non andava. Lui l’aveva abbandonata.
Se l’aveva fatto lui, chiunque altro avrebbe potuto fare lo stesso. Perciò era meglio fare così: non lasciarsi più avvicinare da nessuno.
«Io sono qui se hai bisogno di parlare...»
«Lo so, Ale.» Si voltò verso di lui. «Grazie.» Gli sorrise. Ma era un sorriso a metà, piegato all’ingiù dal lato sinistro.
Notò la distanza tra loro: Alessandro là vicino al casolare, Eleonora lì sulla passeggiata che conduceva verso l’entrata della proprietà. Con l'altro era stato diverso, non esisteva il concetto di “distanza” poiché erano uniti nello stesso punto, nello stesso attimo, e dentro la stessa coscienza.
Ma ora non più.
Ora era sola con se stessa, e a dire il vero non aveva voglia di fare i conti con quella ragazza complicata.
D’improvviso, sentì un fruscio alla sua sinistra, lì dove c’erano gli arbusti da siepe che incorniciavano la passeggiata. Per un momento incrociò lo sguardo stupito di Alessandro, poi tornò nuovamente a fissare il brusco movimento tra i piccoli rami.
«I... Indaco...» Le rispose il nitrito di Lola, che immediatamente dopo, fece la sua comparsa lungo il vialetto.
Il sorriso della ragazza assunse di nuovo quella smorfia, mentre Alessandro era andato incontro al cavallo e le affondava le dita nella soffice criniera. Quando lui incrociò nuovamente il suo sguardo, Eleonora lo distolse, consapevole della delusione che si era dipinta sul suo volto. Era stata la prima volta dopo un anno e nove mesi: aveva pronunciato quel nome ad alta voce.
Aveva smesso di farlo anche col pensiero.
Del resto, a cosa serviva?
Non c’era più nessuno in grado di percepirlo.
∞
Era chiuso nel carcere di massima sicurezza, le braccia legate intorno al corpo e le mani serrate dietro la schiena: la camicia di forza gli impediva di muoversi, ma non di dondolare.
Avanti e indietro, avanti e indietro.
Non era stata tra le migliori l’idea di mordersi il labbro fino a sanguinare, e usare quel sangue per scrivere sulle pareti, ma era l’unica alternativa che era riuscito a trovare in mancanza di penna e gessetti: la prima era ormai preclusa a qualunque detenuto per paura che potesse essere usata come arma contro le guardie, mentre gli altri gli erano stati confiscati dopo che il secondino si era accorto che li aveva frantumati fino a renderli polvere, nonché materiale per un possibile esperimento. Gli avevano tolto qualsiasi oggetto perché riusciva a ingegnarsi con i pezzi della radio, lo spazzolino, e persino il sapone.
Il detenuto-modello con il carrello dei libri vecchi non passava più davanti la sua cella, il che lo faceva sorridere perché, se non altro, gli avevano portato via anche la Bibbia; tutte quelle grida sulla sua inutilità e la continua preferenza di un trattato scientifico, fosse pure quella vecchia teoria di Darwin, avevano portato la guardia di turno all’esasperazione. Sicuramente si era anche infastidita nel vedere il dottor Brandi strappare quelle pagine a morsi: avevano creduto fosse preda di un raptus di follia; in realtà aveva solo trovato un altro modo per pulirsi i denti dai resti di quella coscia di pollo secca e insipida, che puntualmente servivano in mensa.
L’unico suono in quella stanza asettica era lo strisciare del camice avanti e indietro sul pavimento, e l’unico odore, quello acido del disinfettante.
Sollevò lo sguardo sulla parete insanguinata, su quelle formula scritta con caratteri storti, usando il labbro ferito. Si chiese quando sarebbero passati a ripulire, ma quel che contava era che ora, scrivendola, era riuscito a ricordarsela interamente; presto gli sarebbe tornata utile.
Era bene prepararsi.
Lui lo sapeva.
Sapeva che quella ragazza non poteva più vivere senza l’esperimento, ma soprattutto, sapeva che il drago non sarebbe resistito lontano da quella ragazza, non dopo tutte quelle connessioni che si erano stabilite fra loro.
Lo scienziato, responsabile degli esperimenti su Indaco fin da quando era un embrione, non poteva credere alle notizie dei media che affermavano che la ragazza e il drago si erano separati e che lei non sapeva dove fosse; era illogico. Quasi gli veniva da ridere.
Indaco aveva una madre e un padre, ma in fondo era lui, il dottor Brandi, il suo creatore, e lo conosceva bene: sapeva che era ormai nella sua indole, nel suo istinto, nella sua nuova natura e indispensabile per il suo essere, stare insieme a quella ragazza.
Era convinto che quella furba mentisse: se davvero il drago le si era allontanato per un po’, poi, comunque, doveva essere tornato.
Non un’ipotesi, si trattava di logica.
Restava da chiedersi quando ne avrebbe avuto la conferma.
Riprese a dondolare.
Avanti e indietro, avanti e indietro.
© Valentina Bellettini, Eleinda - La Formula dell'immortalità
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